Negli ultimi decenni dell'Ottocento, in aperta campagna rispetto all'edificato del paese, sorgeva isolata una calcinaia, ossia un forno da calce ove venivano cotte rocce calcaree ricche di carbonato di calcio. Da tale materiale, dopo opportuni trattamenti, si otteneva il grassello di calce comunemente usato nella pratica costruttiva: questo è il nucleo originario della costruzione.

Cessata questa attività di produzione "pre-industriale", vengono addossati a questa torre, o "camino", dei corpi di fabbrica con funzioni di magazzino e, successivamente, di tipo abitativo. Ulteriori ampliamenti e accorpamen

ti seguono la trasformazione in impianto per la produzione e l'imbottigliamento del vino, funzione che si è conservata sino a non molti anni fa e che ha caratterizzato il fabbricato conosciuto generalmente con la denominazione di "villa Govi".

La storia

Il progetto di recupero dell'intero complesso ha trovato la sua completa realizzazione in due stralci di intervento, che in primo luogo hanno visto concretizzarsi la creazione di un nuovo corpo di fabbrica (a nord, in luogo dei fatiscenti depositi e magazzini pre-esistenti) mentre il successivo stralcio si è concentrato sul recupero e la ristrutturazione dei corpi di fabbrica attorno alla torre oggi intonacati e di colore "rosa antico".

Il nome Mavarta

Mavarta era una giovane donna di origine barbarica (lo testimonia il nome) vissuta tra il V e VI secolo d.C., la cui lapide sepolcrale, trovata nel 1880 da Gaetano Chierici nei pressi della Chiesa parrocchiale di S. Eulalia a S. Ilario, è il più antico reperto cristiano della provincia di Reggio Emilia e nel contempo il primo documento medioevale santilariese.

Il testo sepolcrale tradotto recita: "Alla buona memoria. In questo luogo riposa, in pace fedele, Mavarta che visse 26 anni, passò in pace fedele nel giorno delle Calende di luglio sotto il Consolato di Boezio". L'espressione "in pace fedele" è la prova della cristianità di Mavarta e si sa che Manlio Anicio Severino Boezio, filosofo cristiano, fu console tra il 487 e il 510 dopo Cristo.

La lapide di Mavarta è attualmente conservata presso i Musei Civici di Reggio Emilia.